Simona Gioli protagonista su Sport Week
Autore: Lega Volley Femminile
31 Ottobre 2007

Per i latini (e quindi per gli italiani) il 17 è da annoverare fra le sorgenti di sfortuna anche perché secondo la Bibbia in quel giorno sarebbe cominciato il diluvio universale. Ma c’è qualche italiana che pur essendo abbastanza (per non dire molto) superstiziosa si sottrae a questa credenza popolare e per giocare chiede, quasi pretende, quel numero.
«A me non porta male, è la mia data di nascita – ride Simona Gioli, trent’anni, che di mestiere fa la centrale nella nazionale di pallavolo campione d’Europa e nella Despar Perugia campione d’Italia -. Lo indosso nel club, ma in nazionale mi era sempre toccato l’1, perché – ci dicevano – le maglie erano già stampate. Questa estate l’ho ricordato a Stefano (Sciascia, il team manager, ndr), per tempo “con il 17 si vince…“. Mi hanno accontentato e infatti le cose sono andate bene in Lussemburgo».
Lei quindi è superstiziosa?
«Sì, molto, meno male che in nazionale ho trovato qualcuno che è come me (Antonella Del Core)».
Uno dei rituali scaramantici di una pallavolista è collegato certamente alla pettinatura: quanto ci mette a preparare i capelli prima di una partita, così infarciti di spallette, fermagli e quant’altro?
«Ci metto un po’, ma è la preparazione alle partite, con il suo “rituale”, che inizia anche il giorno prima…».
Una buona norma delle cabale divinatorie è che non debbono essere mai svelate, se si vuole arrivare al risultato. Ma il segreto di Simona Gioli, l’unica mamma-azzurra, che in un anno ha vinto scudetto, coppa Italia, coppa Confederale (con il club) e campionato Europeo con l’Italia, ce lo può svelare?
«Dopo la nascita di Gabriele (settembre 2006, ndr) non è passato neppure un mese e mezzo ed ero già tornata in campo. Mi ero ripromessa di ricominciare piano piano, poi invece mi sono trovata dentro a mille. Un impegno dopo l’altro, la coppa Italia, lo scudetto, poi l’estate, la nazionale, l’Europeo. Sono rimasta un tipo aggressivo anche dopo la maternità, ma ho una tranquillità di fondo in più, quando torno a casa dal mio compagno (Vincenzo) e da mio figlio. Impari a prendere la vita giorno per giorno».
Un’esperienza che l’ha cambiata anche «dentro».
«Ci sono le varie età della vita. C’è quella dell’adolescenza, dove certi conflitti sono più duri, c’è l’intolleranza. Poi si cambia: un primo mutamento l’ho fatto quando ho trovato Vincenzo. Se si inizia a stare assieme a un’altra persona, si deve modellare il carattere per poter coesistere».
Quindi al di là dell’apparenza aggressiva, dei tatuaggi, del piercing, della voglia di partecipare a Miss Italia e di un passato favoleggiato da «cubista», ci vuole far credere che, volley a parte, è diventata una pantofolaia?
«Per andare in giro a divertirsi ci vuole tempo e occhi aperti! Io vado avanti a litri di caffé per stare sveglia. Soprattutto i primi tempi con Gabriele era durissima, mangiava ogni due ore. Una poppata mi toccava per forza, ma anche adesso le cose non sono molto cambiate. Si deve correre parecchio, per cui il mio tempo libero è stato annullato quasi completamente. Se ne ho un po’ dopo gli allenamenti, le partite o le trasferte, lo dedico alla famiglia. Che ovviamente è anche piacere, come quello della casa. Mi piace cucinare, mettere in ordine. Insomma sono una casalinga un po’ atipica».
Allora la pallavolo cos’è: lavoro o passione?
«Beh con il tempo è diventato certamente un lavoro, ma resta sempre la passione di fondo. Il piacere di giocare come quando vai in Nazionale, dove di soldi, se non vinci, ce ne sono pochi. Nell’Italia, resti solo perché hai la soddisfazione di farlo. E forse alla fine è anche una questione di carattere: io cerco di fare sempre al meglio qualsiasi cosa mi capita di fare».
Non è un passione, ma una maledizione l’appuntamento olimpico per Simona. Come lo ricorda?
«Impossibile dimenticarlo: sono stata lasciata a casa dall’Olimpiade per ben due volte consecutive a una settimana dalla partenza, o giù di lì. Allora furono ferite molto dolorose, ci sono stata un sacco male. Adesso – a riguardarle da lontano – fanno un po’ meno male. Forse si sta realizzando la profezia che feci una volta, tanto tempo fa, per scherzo. “Andrò all’Olimpiade quando sarò mamma”. Accidenti è successo davvero! Ma questa è l’ultima occasione, perché a trent’anni non me capiterà un’altra. Quindi devo fare di tutto per conquistarmela. A proposito visto che dobbiamo ancora qualificarci, meglio iniziare subito dalla coppa del Mondo, in Giappone, a novembre. La nostra squadra è forte e sono convinto che abbia le caratteristiche giuste per farcela».

Gianluca Pasini per Sport Week

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